LA PSICOLOGIA NELLO SPORT
La psicologia dell’età evolutiva offre sicuramente un supporto molto importante per chi lavora con i giovani atleti.
Coloro che lavorano nei settori giovanili è importante che abbiano una conoscenza approfondita delle varie fasi di sviluppo della maturazione del giovane calciatore.
Oggi i nostri ragazzi si trovano in situazioni di difficoltà mentale nel mondo moderno, avendo a che fare con problemi di ordine sociale; la mancata conoscenza di quelle che sono le regole di convivenza con le cose, con le persone.
Ogni giorno mi scontro con ragazzi fragili, insicuri, permalosi. Diventa difficile operare e costruire il lavoro, sapendo che di fronte si ha a che fare con figure deboli, dove si portano all’interno dell’angolo calcio le loro incertezze.
E’ qui che subentra l’importanza di conoscere i vari elementi quali: lo sviluppo motorio, quello intellettivo, quello affettivo e sociale, l’apprendimento e le motivazioni. La conoscenza di ciò che avviene nelle varie fasi dello sviluppo permette al tecnico di saper gestire il suo lavoro in sintonia con i bisogni del giovane calciatore.
Ecco perché oggi, allenare non è solo calciare la palla, ma chi sa di più, in termini di psicologia dell’età evolutiva, potrà sbagliare di meno e soprattutto non creare grossi svantaggi al ragazzo.
Una fase molto importante di questo cammino è la comunicazione, essa può divenire, uno strumento utilissimo nella comprensione e nel miglioramento dei rapporti interpersonali.
Non tutti abbiamo la capacità della parola, esiste anche la comunicazione non verbale (gesti e movimenti) essi potranno essere strumenti in più per mettere a nudo, situazioni di conflittualità che può nascere all’interno dei un gruppo operante.
I silenzi, il tono della voce, i gesti, hanno spesso contenuti di comunicazione più ricchi delle parole, anche perché la comunicazione delle parole può essere contraddittoria o addirittura falsa, mentre la comunicazione non verbale rispecchia il vero stato d’animo del soggetto.
Abbiamo visto che per ottenere e accettare fino in fondo che l’atleta renda al massimo non deve essere ben allenato solo nei suoi muscoli, ma anche la sua mente deve essere in grado di dare il massimo nel momento della competizione.
Per ottenere questo è in dubbio che nel programma di ogni atleta si debba tenere conto di uno spazio da riservare proprio a quello che oramai viene definito l’allenamento mentale.
Allenamento mentale, che non deve essere considerato qualche cosa di standardizzato uguale per tutti, deve essere costruito e modellato in funzione della realtà individuale di ogni atleta: dell’età, delle motivazioni, delle peculiarità soggettive.
Articolo di Ermes Berton preparatore dei portieri professionista.